Maltrattamento degli animali / "Ambiente, Animali e Veterinaria"

Legge 20/07/2004 n. 189 “Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate” :“Chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale ovvero lo sottopone a sevizie o a fatiche o a lavori insopportabili per le sue caratteristiche etologiche è punito con la reclusione da 3 a 12 mesi o multa (3.000-15.000 euro). Stessa pena a chi somministra agli animali sostanze stupefacenti, vietate o li sottopone a trattamenti dannosi alla loro salute. Pena aumentata della metà se dai suddetti fatti ne deriva la morte”. Nonostante la dizione normativa, secondo la giurisprudenza non è necessario, per la sussistenza del reato, che dai maltrattamenti sia derivata una vera e propria lesione all’integrità fisica dell’animale. La Corte di Cassazione, infatti, ha più volte affermato che per la commissione del reato di maltrattamento “non è necessario che si cagioni una lesione all’integrità fisica, potendo la sofferenza consistere in soli patimenti” (Cass. Pen., sez. III, 21.12.1998, n. 3914). Pertanto il reato di maltrattamento può essere ravvisato anche nel caso in cui l’animale sia sottoposto a sofferenze di tipo ambientale, comportamentale, logistico ed operativo.

Elemento soggettivo del reato è il dolo nelle sue diverse classificazioni, ivi incluso quello eventuale. Per quest’ultimo, per la classificazione dell’elemento soggettivo del reato il legame psicologico tra la condotta del soggetto e il fatto tipico realizzato, va individuato nell’aver posto in essere una condotta che poteva rappresentare un pericolo per gli animali, accettandone di fatto il rischio. L’evento delittuoso, pertanto, pur non essendo voluto dall’agente, è dal medesimo previsto come possibile, accettandone, quindi, il rischio, ma nella convinzione che esso non si verifichi.

 

La detenzione in condizioni incompatibili.

 

Si tratta di un reato contravvenzionale, oblabile ai sensi dell’art. 162 bis c.p.. La natura di contravvenzione rende il fatto punibile sia se commesso con dolo, sia se cagionato per colpa, ovvero per negligenza, imprudenza, imperizia o inosservanza di leggi o regolamenti.

 

Con sentenza del 9.6.2005, n. 21744 la Corte di Cassazione Penale, III Sezione, ha stabilito che “la detenzione di animali in condizioni incompatibili con la loro natura e produttive di gravi sofferenze può sicuramente essere ascritta anche ad una condotta colposa dell’agente in una delle connotazioni indicate dall’art. 43 c.p.” (nel caso di specie la S.C. ha cassato la sentenza del Giudice di merito, che aveva ritenuto non integrasse il reato de quo, per mancanza dell’elemento soggettivo del dolo, il trasporto di tre cani da caccia stipati nel bagagliaio di un’autovettura non comunicante con l’abitacolo, altresì in violazione di una delibera della giunta regionale).

 

Soggetto attivo è il proprietario dell’animale, nonché ogni persona che per qualsiasi motivo possegga, custodisca o comunque detenga l’animale.

 

Si richiede che la detenzione, oltre ad essere incompatibile con la natura dell’animale, abbia anche prodotto “sofferenze gravi”, espressione che ha portato non pochi problemi interpretativi. Sul punto di recente la Cassazione ha confermato l’orientamento precedente, secondo cui per accertare l’esistenza di “gravi sofferenze” non è necessario che siano riscontrabili lesioni fisiche” potendo la sofferenza consistere in soli patimenti” (Cass. Pen. Sez. III, 24.1.2006, n. 2774). Di conseguenza, tra le condizioni che possono configurare il reato, in relazione alla natura e alla struttura etologica dell’animale, ci sono le “condotte che pur non accompagnate dalla volontà di infierire, incidono senza giustificazione sulla sensibilità dell’animale producendo dolore” (Cass. Pen. Sez. III, 14.3.1990). Per valutare il grado di sofferenza di un animale, con riferimento alle condotte sopra descritte, è necessario accertare le caratteristiche naturali e di specie dello stesso, unitamente all’habitat e alle abitudini di vita.

 

Non è prevista la confisca dell’animale. Tuttavia, con una innovativa sentenza (n. 147/06 del 8.5.2006), il Tribunale di Bassano del Grappa ha ritenuto che “sebbene l’art. 727 non contenga una specifica ipotesi di confisca, il cane in sequestro va confiscato ai sensi dell’art. 240 comma 2 n. 2 c.p.p., in relazione al divieto di detenzione dell’animale in condizioni incompatibili con la sua natura”.

 

È comunque consentito alla Polizia Giudiziaria, quando vi sia il pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato, e la situazione di urgenza non permetta di attendere il provvedimento del Giudice, procedere, prima dell’intervento del Pubblico Ministero, a sequestro preventivo o probatorio dell’animale.

 

Che cosa si intende per sofferenza?

 

Nell’interpretazione più logica l’art. 727 c.p. non sanziona solo chi detiene animali in modo tale da farli soffrire gravemente, ma chi li detiene con modalità capaci di offendere il loro benessere e la sensibilità umana. Gli animali possono ancora oggi, come lo sono sempre stati, purtroppo, essere privati della libertà, ma esigono attenzione e rispetto.

 

Fatta questa premessa, deve dedursi dalla complessiva formulazione del reato di cui all’art. 727 c.p. che perché una detenzione violi la norma richiamata è sufficiente che all’animale venga impedito lo svolgimento di moduli comportamentali comuni che determinano un oggettivo stato di sofferenza, tipo la liberta di deambulazione, il vivere in un ambiente sano ecc., o tipici della propria specie, come la possibilità di aprire le ali, di fare brevi svolazzi ecc.

 

Non rientrano, quindi, nel concetto ampio di “sofferenza” solo danni fisici, lesioni o ferite, ma anche quei patimenti che determinano stress, angoscia, ansia, paura, disagio psicofisico, inquietudine, nervosismo, stato di affaticamento, agitazione, privazioni emotive ecc.

 

Ben possono configurarsi comportamenti che, pur non pervenendo a un danneggiamento dello stato fisico dell’animale, non rispettano la sua indole, ovvero risultano in contrasto con le leggi naturali e biologiche, determinando patimenti anche soltanto psichici, come possono essere quelli dovuti alla costrizione in condizioni di cattività che ne impediscono oltre il ragionevole, la deambulazione o lo sviluppo delle normali attività fisiche.

 

Oltretutto, la presenza di lesioni o ferite configurerebbe una fattispecie penale diversa, ovvero il reato di maltrattamento di animali di cui all’articolo 544-ter c.p. che punisce “chiunque, per crudeltà o senza necessità, cagiona una lesione ad un animale”.

 

Il Supremo Collegio, intervenendo su questo tema ha sentenziato che: “Ai fini della sussistenza del reato di cui all’articolo 727 del c.p., non è necessario verificare se gli animali abbiano subito concretamente una qualche sofferenza fisica essendo sufficiente accertare se vi sia incompatibilità tra le modalità concrete della detenzione e le caratteristiche naturali ed etologiche degli animali. In particolare l’elemento della sofferenza fisica, connaturato all’ipotesi di incrudelimento e sevizie, non è necessario per integrare le altre ipotesi, ed in particolare quella di detenzione in condizioni incompatibili con la natura degli animali”.

Marco Auriemma

 

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